Due parole con i Sonograms
I Sonograms sono un duo composto da Alex Michielin e Andrea Breda, una formazione nata nel 2016, sulla scia di un’esperienza di cover band pop-rock incominciata nel 2009, quando il duo inizia a scrivere i primi brani e li presenta quasi per caso al loro producer di oggi Matteo Da Ros.
Il pezzo Traffic Lights che portano in Soffitta, costituisce il secondo singolo del loro album di prossima uscita e di esordio: è un pezzo fra le loro elaborazioni più vecchie, dietro al quale si cela un intenso utilizzo di drum machine e sintetizzatori, nel quale prevale un approccio più compositivo dal punto di vista del suono.
I Sonograms spiegano come nel processo che porta alla nascita di un brano, la prima idea parte dalla chitarra, il risultato viene poi destrutturato e si riparte dall’ossatura, dopo si prosegue con la ricerca (o ancor meglio con la ricercatezza) dei suoni. Fondamentale in ogni caso, per nutrire la creatività, è l’ascolto di molti generi differenti a 360°.
Ciò che caratterizza maggiormente questo gruppo è sicuramente il concetto di anticonformismo, la stessa scelta dell’inglese utilizzato nei testi scritti dal cantante, è motivata in modo poco comune: “L’inglese permette di indossare una sorta di maschera, cantando in italiano mi sento troppo esposto, è un rapporto troppo diretto e mi riesce difficile la scelta delle parole, anche solo per il discorso della metrica, inoltre sono molto riservato. In realtà non mi piace particolarmente che la gente capisca quello che penso, lo so è strano, perché un artista dovrebbe fare il contrario, dovrebbe morire dalla voglia di arrivare con i suoi significati agli altri, ma per me, per noi, il testo è solo un altro strumento. La nostra visione è un approccio imperdonabile in Italia, dove vanno per la maggiore i cantautori, dove a contare è soprattutto il testo”.
A infastidirli c’è tutto un insieme di preconcetti, radicati nel modo comune di concepire la musica e nelle meccaniche che le ruotano attorno, e che per loro, più che mezzi a disposizione per muoversi al meglio, si tramutano in vere e proprie catene che imbrigliano la possibilità espressiva: “Bisogna ritornare al pensiero di un bambino, gli ostacoli più grandi che abbiamo avuto sono stati gli schemi acquisiti dallo studio, proprio gli strumenti che dovevano aiutarci di più, sono quelli che più ci hanno limitato; il metodo va appreso e poi distrutto“.
In cima a tutti questi preconcetti si trova l’idea di compromesso, che obbliga gli artisti a cedere la propria arte ad una millantata necessità di produzione. Lo stesso discorso vale per i social, dove un insieme di “regole assurde” che tutti si sforzano di seguire, rendendosene conto o meno, solo perché all’apparenza sembrano funzionare, obbliga tutti a omologarsi, andando a parlare con un destinatario talmente vago da essere senza volto.
Ma il vero campo minato dove il compromesso miete le sue vittime è nei rapporti con i grandi produttori: “Con loro non è possibile fare qualcosa di proprio, per questo in Italia non c’è una vera evoluzione qualitativa della musica indipendente, e se c’è, è molto rallentata, costringendoci molto indietro rispetto ad altre realtà del nord Europa. Adesso abbiamo reso mainstream quello che già esisteva nel panorama musicale da quindici anni: si investe su qualcosa, ma lo si fa in ritardo”.
“Sempre a causa di questo limite, c’è tanta gente che preferisce rimanere nell’ombra, di non tentare neppure di presentarsi agli altri, tenendo le proprie produzioni per sé. Davanti a tutta questa merda, la cosa che nobilita di più il tuo lavoro è farlo e lasciarlo nella tua chiavetta, che nessuno lo senta perché, sia che tu sia convinto di quello che stai facendo sia che tu non lo sia, alla luce del sistema, non ha nessun senso farlo uscire e renderlo pubblico“.
“Servirebbe un messaggio al pubblico e agli artisti che faccia capire che c’è un problema, e che questo problema può essere risolto in parte da loro. La legittimazione all’arte dovrebbe crescere naturalmente dal basso, dovremmo essere noi, musicisti e pubblico insieme, a creare una sorta di comunità autosufficiente, un’entità che riesca ad imporsi sul resto, avvalendosi della collaborazione di qualche soggetto appassionato di social media “che porti fuori tutto”, e non sia il singolo artista a dover lottare contro il mondo, con mezzi che non gli sono propri, per arrivare semplicemente ad esprimersi. Una rete con una propria forza trainante, un canale dove tutti possano confluire ed esprimersi, riuscendo ad arrivare a più persone possibile. Il maggior problema di oggi e che non c’è fede e fiducia negli altri”.
Foto dei Sonograms Foto di Giuliana Brigante
Traffic Lights
I wake up every morning
I drive out from the city
Traffic lights is green
and i go straight and fast
I Start and run, run away from the time
I get up, on a sunday morning
Butterflies are flyin’ higher
The wind is free, just like my thoughs
I Start and run, run away from the time
You know that my car (van)
brings you to the sweet land