Due parole con i Liverpool Alligator Park
I Liverpool Alligator Park sono Emanuele e Francesco, chitarra e batteria. Il nome deriva da un brano di Billie Joe Armstrong con i Foxboro Hot Tubs: Alligator, animali che sembrano quasi entità aliene, aggressive e spigolose. Liverpool come omaggio ai Beatles e più in generale al beat inglese degli anni ’60. Park infine omaggia il primo EP dei White Stripes. Perché, dicono i Liverpool Alligator Park: “Il nome deve essere un contenitore di tutto ciò che ruota intorno alla visione della band”.
I due componenti dei Liverpool Alligator Park sono originari di Conegliano (TV) e provengono entrambi da lunghi studi di musica. Il progetto nasce nell’aprile 2018, quando i due musicisti decidono di fare un reset della loro attività musicale. Cominciano con il riascoltare la musica anni ’60-’70, blues, rock’n’roll, beat. Da lì l’ispirazione per il filone Garage punk.
I due membri della band provengono dal gruppo “The East”. A seguito di varie jam session “liberatorie” e stanchi di un’esperienza così razionale in studio, capiscono di essere più motivati da un atteggiamento istintuale verso la musica. Si lanciano impulsivamente nel primo EP. Lasciandosi andare. Senza calcolare più del dovuto. E nel giugno del 2018 esce il primo EP interamente autoprodotto: Look Out! The Alligators Are Running.
L’anno seguente esce il secondo EP: Look Out! The Alligators Are Dead. Album che esprime i loro dubbi sul continuare l’esperienza, dubbi che si dissipano grazie ad un’intensa attività dal vivo. La loro produzione si caratterizza per la visione, prettamente punk, del do it by youself.
Ad oggi collaborano con due etichette: Garage Records e Rocketman Records. Le grafiche sono tutte in bianco e nero. Ritagli approssimativi di riviste e vecchie fotografie, incollati maldestramente per creare immagini forti e immediate, coerenti con l’estetica punk. Il live gioca il ruolo principale. “Il live è tutto”. Sul palco i Liverpool Alligator Park diventano ciò che sono davvero: senza nulla togliere all’importanza del disco, suonare dal vivo è lo scopo della band.
Denunciano il fatto che in Italia oggi sia estremamente difficile confrontarsi con altre band. E sempre più difficile diventa anche il confronto con il pubblico. Forse per una mancanza di educazione musicale. Dicono che capita, dopo un live, che degli spettatori li avvicinino affermando che “la loro esibizione gli ha lasciato qualcosa, qualcosa che prima non sapevano neppure esistesse”.
Sostengono i Liverpool Alligator Park che per facilitare l’accesso alla cultura musicale si dovrebbe snellire tutto ciò che di burocratico ruota attorno all’apertura di club, alla gestione di locali, al rilascio di permessi per suonare. Oltre ovviamente ad una spinta del pubblico stesso che sembra a volte non voler uscire dalla routine della birretta al bar il sabato sera. E che così facendo si perde l’ebbrezza della musica dal vivo.
Il processo che vede la nascita dei pezzi dei Liverpool Alligator Park è generalmente semplice, istintivo. Si parte da un riff di chitarra e generalmente, dopo una decina di minuti di prove, nasce già un embrione di un nuovo pezzo. I testi, in inglese, nascono dopo la musica, sulla scia del mood, abbinando la parola alla musicalità.
I Liverpool Alligator Park, parlando di molti gruppi emergenti, raccontano come ci sia molta falsità, poca spontaneità, e troppo interesse sull’apparire piuttosto che sul suonare. “Alcuni non sono neppure disposti a parlare con gli altri gruppi (durante i festival ad esempio), e rimangono sulle loro senza nemmeno provare a creare rete. Ed è un vero peccato che non riescano ad entusiasmarsi all’idea di conoscere altri che fanno le loro stesse esperienze”. Probabilmente, ipotizzano, per la paura di perdere un qualcosa di quello che hanno conquistato, o perché si sentono arrivati per aver fatto un paio di date in altri paesi.
I locali invece sono di due tipi: quelli preparatissimi dove tutto deve essere preciso e programmato; oppure quelli dove non c’è ombra di professionalità e lo spazio viene gestito in modo approssimativo, mascherando gli eventi con chissà quale velleità etico-filosofica, senza avere la professionalità per farlo.
Ai microfoni di inSoffitta raccontano il loro sconforto per questo processo di esclusiva digitalizzazione della musica: perdere la realtà fisica del CD o del vinile, sostituendolo con la friuzione online e lo shuffle, porta ad un impoverimento dell’ascolto, gli stessi big ormai fanno uscire solo singoli con un grande lavoro sul video per guadagnare sulle visualizzazioni, tuttavia in questo modo si perde l’ascolto più attento, il “vivere il pezzo”. Ormai si ascolta in sottofondo e si ha una conoscenza di tutto… ma estremamente superficiale.
Per il video 360° di inSoffitta portano il pezzo Punch Drunk.
Foto dei Liverpool Alligator Park Foto di Giuliana Brigante
Punch Drunk
Stupid times, dirty night, everyone’s on the runway
Gimme that gimme more, I don’t care, the world is just fucked up
Pour some wine, put it right and don’t think bout tomorrow
She’s gone and me, myself and I will have a lot to talk about, right?
Bright lights, white lines, I’m not into it
I’m lost, punch drunk, who are these peeps?
All is blur but I’d love to see
this city burning next to me